Comfort zone
Ci sono due argomenti che vanno tanto in questo momento tra tv, stampa, web e i social, e sono quelli della “resilienza” e della “comfort zone”. Sul primo si è detto di tutto e di più. Fiumi di inchiostro reale e virtuale, sono stati spesi per raccontare questo stato d’animo che sembra particolarmente affine con il momento storico e sociale che stiamo vivendo e, sinceramente, anche perché non lo sento particolarmente mio, non mi va di aggiungere nulla a riguardo. Diverso è il discorso della comfort zone. Questo è un argomento che mi intriga molto perché lo lego molto al concetto delle “possibilità” e delle “opportunità” che ognuno di noi può cogliere o non cogliere nella vita. Vale dunque la pena introdurlo spiegando cosa si intende per comfort zone. Prendo in prestito una definizione trovata velocemente su Google secondo cui la comfort zone è “la condizione mentale in cui la persona agisce in uno stato di assenza di ansietà, con un livello di prestazioni costante e senza percepire un senso di rischio”. Ci sono comfort zone in ogni sfaccettatura della vita umana: nella famiglia, nei sentimenti e nel lavoro. Per molte persone la comfort zone è un elemento terapeutico importante dell’esistenza. Un mio caro amico ad esempio, mi confessa spesso che per lui uscire dalla comfort zone significa andare incontro a crisi di panico con sintomatologie fisiche molto importanti legate all’ansia ed alla paura. Non è quindi un argomento che si può trattare con superficialità. La comfort zone infatti non ha tanto a che fare con una sorta di “pigrizia” come taluni erroneamente credono, quanto invece con un discorso di “sicurezza personale”, che è un tasto molto delicato su cui andare ad agire.
Me
Ed io? Beh, se non si fosse capito dalla lettura dei miei post sin qui io, in particolare, ho organizzato la mia intera esistenza con il preciso metodo dell’eliminare costantemente qualsiasi comfort zone. Non è qualcosa che ho fatto scientemente, è semplicemente accaduto forse a causa di quella che è la mia indole sempre votata al cambiamento. Ma non per questo non ne sono alle volte vittima. Sono umano, siamo umani, e ci sono e ci sono state delle fasi della vita in cui una parte di me votava per lasciare tutto così com’era, anche quando il cuore o la ragione (due tipi che non sempre vanno d’accordo), mi dicevano di svoltare altrove, di cambiare direzione, di prendere una strada nuova e diversa. È il che la comfort zone confina con la paura. Nel momento in cui avvertiamo che una situazione consolidata nel tempo comincia a starci stretta c’è la paura del cambiamento. È una sensazione normale e legittima che nasce da quella parte del nostro cervello che preme per lasciare le cose così come sono pur di non tentare l’ignoto, il nuovo, il non esplorato. Consiglio spassionato: non fate mai l’errore di seguire quella parte di cervello! Credetemi, e lo dico con una certa esperienza anche di vita visto che non sono più un giovanotto, non conosco una sola persona che abbia fatto una scelta saggia quando a deciso di rimanere, per paura, nella sua comfort zone. Che si sia trattato di relazioni o situazioni lavorative l’aver insistito sulla strada vecchia non ha portato a nulla di buono. Relazioni e impieghi che continuano solo perché sono l’espressione di una comfort zone personale portano, col tempo, a rimpianti e frustrazione.
Il cambiamento
Ma allora cosa c’è al di fuori della comfort zone? C’è il cambiamento! Un argomento molto intrigante, eccitante se vogliamo, perché mescola al suo interno paura e opportunità, amaro e dolce, tensione e godimento. Chi vive di comfort zone è spaventato dal cambiamento, si sente inadatto al cambiamento. Eppure, ed è qui l’errore di fondo, dimentica una cosa molto importante: il cambiamento fa parte di noi, ed ha sempre fatto parte della nostra vita, solo che spesso non ce ne siamo accorti e forse per questo ci ha spaventato di meno. Pensate al passaggio dall’infanzia all’adolescenza: un giorno non sappiamo vedere al di qua dei cartoni animati e dei nostri giocattoli, il giorno dopo sentiamo nascere in noi i nostri primi appetiti sessuali. Anche quello è stato un cambiamento… E che cambiamento direi…
Poi col tempo, crescendo, dimentichiamo di essere tranquillamente in grado di poterlo gestire il cambiamento, e ci rifugiamo nelle comfort zone. Solo che così smettiamo di crescere, di vivere, di evolvere. Dovremmo tutti invece prendere coscienza del fatto che sì, il cambiamento è un grande punto interrogativo, che può portare miglioramenti o peggioramenti nella nostra vita, ma che è anche l’unica grande chance che abbiamo per andare incontro al bello. Se ci riflettete, se fate il conto e la lista di tutte le cose belle che vi sono accadute nella vita, le più belle, quelle che sarete in grado di ricordare anche da vecchi, scoprirete che tutte, in un modo o in un altro sono nate da una fase di cambiamento. Da questo punto di vista il cambiamento è come un mare meraviglioso, dai fondali magnifici, in cui dobbiamo tuffarci partendo però da uno scoglio a 15 metri di altezza. È un tuffo alla portata di tutti, non serve preparazione fisica per affrontarlo, ma quanti di noi hanno avrebbero il coraggio di tuffarsi da un trampolino così alto?
Only the brave
Chi lo fa però, come direbbero gli inglesi “only the brave” (solo i coraggiosi), ha la fortuna di entrare in un mare meraviglioso che è quello delle “opportunità”. Cambiamento e opportunità sono infatti due concetti legati in consecuzione temporale tra di loro: il cambiamento è infatti il terreno di coltivazione delle opportunità, e meno spazio diamo al cambiamento meno saranno le opportunità che ci daremo. Quando invece l’essenza del vivere è tutta lì, nel numero e nella qualità di opportunità che siamo riusciti a crearci; e, credetemi, non è una questione economica quanto una spinta emotiva che, o abbiamo o non abbiamo, ma che, se siete nel secondo caso, potete migliorare col tempo. Ancora oggi, ogni mattina, svegliandomi, provo a immaginare la giornata che mi aspetta secondo quelle che saranno le opportunità che io in primis avrò costruito, o in secondo ordine il caso e la fortuna. Forse anche per questo, quando le giornate finiscono, riavvolgo il nastro di quello che è stato con un grande senso di gratitudine che è poi una delle cifre della mia “proverbiale serenità”. Mi lascio quindi trasportare del cambiamento? Sì, senza limiti direi. E, badate bene, che ogni volta che “salgo su quella zattera” non ho mai chiaro dove mi porterà. Ma proprio quello rende il tutto più eccitante ed è, a conti fatti, un’attitudine decisamente conveniente.