Il presente è un "presente"
“Se sei depresso stai vivendo nel passato.
Se sei ansioso, stai vivendo nel futuro.
Sei sei in pace, stai vivendo nel presente.”
Con queste poche semplici parole, Lao Tzu, 2500 anni fa, forse senza saperlo, era riuscito a disegnare e prevedere perfettamente quello che sarebbe stato il mondo 2500 anni dopo la sua breve vita. Un mondo dove, statistiche alla mano, gli psicofarmaci sono i medicinali in assoluto più venduti al mondo e dove, per l’appunto, ansia e depressione battono a mani basse in termini numerici qualsiasi virus o pandemia. Ma per qualche assurdo motivo fanno meno paura…
Il fatto è questo. L’uomo moderno, figlio della rivoluzione post industriale che ci ha posti all’interno di una fase neoilluministica, “ragiona” troppo. Ora, concedetemi, le virgolette, il termine ragionare può avere connotazioni di volta in volta molto diverse tra loro. Nella sua accezione positiva il ragionamento è quel processo mentale che porta, ad esempio, alla risoluzione di un problema. Ma esiste anche una sua accezione negativa che è quella del ragionamento inteso come arrovellamento, ovvero quel loop infinito di pensieri, paure, pre e post elaborazioni che partono la mattina appena svegli, già nel momento in cui diamo la prima occhiata al nostro smartphone e, se va bene, si fermano quando andiamo a dormire. Se ci riusciamo. Questo arrovellamento continuo e, soprattutto, che è più grave, infruttuoso, è alla base di problemi psicologici come l’ansia e la depressione, ma anche di sintomatologie fisiche come l’ipertensione, il diabete e obesità (quest’ultime due nascono dalla cattiva alimentazione ovvero dalla tendenza nel riversarsi nel “junk food” per sfuggire alle nostre ansie). Ragioniamo troppo e viviamo poco. Credo tutto questo nasca da un grande fraintendimento dell’uomo moderno, rispetto a quella che è la sua reale padronanza dei tre tempi principali della vita: il passato, il presente, ed il futuro.
Il passato
L’enciclopedizzazione ed il fatto che ormai tutto è tracciato e lo sarà di qui all’eternità, ha distorto il nostro rapporto col passato, sia in senso storico (riferito alla società), sia in senso di vita (riferito all’individuo). Ad un certo punto, il fatto di conoscere a menadito il nostro passato ci ha dato l’illusione di poterlo in qualche modo possedere. Ma questa, cari miei, è una grandissima cavolata. Il passato è un treno su cui non si può più salire, e che è andato via con il suo carico di cose belle e brutte. C’è chi vive nel passato perché magari è lì, ad esempio nella giovinezza, che ritrova i suoi ricordi più belli. C’è chi invece vive nel passato perché nonostante sia pieno di traumi, non riesce a staccarsene, non lo dimentica, o almeno, non lo stacca in maniera definitiva dal presente. Nascono così le grandi depressioni. E come ci si dovrebbe quindi interfacciare col proprio passato, bello o brutto che sia stato? Non sono ovviamente in grado di offrire un consiglio valido per tutti. A me, pensando al passato, mi viene sempre in mente il paragone con un bagaglio, uno zaino, una valigia. Pensateci bene: questi oggetti possono essere allo stesso tempo utili o fastidiosi. Utili quando viaggiamo e abbiamo bisogno di portare con noi alcune cose. Fastidiosi quando rappresentano un peso ai nostri movimenti. I ricordi del passato sono per me esattamente questo: una valigia piena di tante cose, che alle volte mi torna utile, ad esempio quando mi aiuta a non ripetere gli stessi errori fatti in precedenza, altre volte è un piccolo carico di malinconia e nostalgia. Ma sta lì, e la porto con me. Non vivo per lei. Vivo “con” lei, fa parte di quello che sono e certamente di quello che sarò. Ma faccio sempre ben attenzione a tenerla dietro le spalle, e non sotto gli occhi, proprio per darle sempre il giusto peso. Perché quello che è stato non influenzi troppo quello che sono e che sarò. Il mio passato è un “amico discreto”, di quelli che senti poco ma che sai che, quando ce ne sarà bisogno, potrai contare su di loro.
Il futuro
E il futuro? Ah questo maledetto futuro! Sì cari miei, concedetemi il termine maledetto futuro perché qui la situazione ci sta sfuggendo di mano. Presi dal troppo ragionare di cui sopra, vedo tante persone intorno a me completamente incapaci di vivere il presente perché proiettati nel futuro. Che poi, diciamoci la verità, il futuro è un tempo che non ci appartiene. Non per essere menagramo ma è chiaro che nessuno di noi, neanche quello che scoppia di salute più degli altri, è sicuro di poter vivere quel futuro a cui tutti pensano. E allora cadiamo in quella che io chiamo “la trappola del futuro”, ovvero quel meccanismo mentale secondo cui tendiamo a organizzare gran parte delle nostre scelte di oggi in chiave futura e non in base a quello che è il nostro presente. C’è anche chi rinuncia a vivere delle relazioni perché, nella propria contorta visione delle cose, non sembra incastrarsi con quelli che sono i piani del futuro. Ma cosa diavolo ne sapete voi (ed anche io mi ci metto in mezzo) del vostro futuro? Come e cosa amerete, ciò di cui avrete bisogno. Non potete saperlo. Non possiamo prevederlo.
E allora perché non provare a mandare al diavolo tutte queste maledette ansie dell’uomo moderno rispetto al futuro provando a concentrarci sull’unico tempo che ci appartiene davvero, il tempo presente, il qui e ora. Scopriremmo come è incredibilmente bello e, se vogliamo, anche terapeutico abbandonarsi all’oggi, a quello che ci sta offrendo, alle possibilità di vivere il momento, come direbbe Vasco, come se fosse l’ultimo. Il presente, signori miei, è un tempo dolcissimo; è un mare placido ed ospitale, fatto di cose grandi e piccole che, il nostro oscillare tra passato e futuro non ci fa vedere. C’è una tecnica di meditazione molto in voga in questo periodo, la mindfulness, che si concentra proprio sull’attenzione al qui e ora. E sapete cosa accade ad un ansioso ed ad un depresso quando durante la meditazione riescono, magari solo per 10 minuti, a porre in maniera non giudicante l’attenzione sul qui e ora, scoprono di essere felice. Scoprono che in questo momento sta bene, non c’è dolore, non c’è paura, non ci sono problemi. Scoprono di essere circondate di bellezza: nelle relazioni, nella famiglia, nelle amicizie. Concentrarsi sul presente è come, per un cieco, ritornare a vedere. Il mondo intorno è sempre stato lì, solo che non lo vedevamo: e, vi assicuro, che potete anche vivere sotto una ciminiera, ma quando non vedete e ritornate a vedere vi sembrerà bellissimo anche quel panorama.
Il presente
Ma bisogna, per l’appunto, ricominciare a ragionare in termini di presente, l’unico tempo che veramente ci appartiene. Abbracciandolo, mangiandolo, leccandolo come se fossimo animali in preda ad una fame atavica. Dovremmo imparare a legarci mani e piedi a quanto di bello il presente ci sta offrendo. Abbandonando i sensi di colpa, le preoccupazioni. E il domani? Il domani arriverà, sarà bello, sarà brutto chi può saperlo: tanto non è qualcosa che più di tanto potremo mai influenzare. Ma pensate che beffa sarebbe arrivare a domani, e scoprire che è una mezza fregatura e che non era come ce l’eravamo immaginato e programmato e magari, in quel momento, rimpiangere tutto quello a cui abbiamo rinunciato a quello che solo ieri era il nostro presente.