Other Places... Conclusione

“Abbiamo tutti visto il mondo fermarsi tra febbraio e marzo 2020. Improvvisamente, tutta l’umanità tratteneva il fiato, metaforicamente e, purtroppo, letteralmente. Guardavo le notizie cadere come un bombardamento continuo. Da un lato, non ne potevo proprio più, dall’altro, volevo mettermi a fare qualcosa di positivo che potesse dare un contributo affinché si potesse uscire dalla gabbia mentale in cui eravamo precipitati. Il progetto Other Places nasce dall'esigenza di fermare mettere a fuoco in qualche modo ciò che l'umanità stava vivendo nei mesi di lockdown, oltre il lockdown nelle sue definizioni più strette a cui ci avevano abituato i media. Il mio intento era quello di raccontare un mondo fermo ma allo stesso tempo, in movimento. Gesti e resistenza umana, sorrisi rubati, iniziative imprenditoriali, piccoli tentativi rivolti alla sussistenza e ai brevi momenti di felicità. … Other Places racconta la resistenza e lo slancio vitale connaturati nella specie umana. Tutto ciò, costituisce la mia risposta alla narrazione dei media di questo ultimo anno.”

Intro

E’ questa la conclusione del mio nuovo libro, “Other Places”, da poco uscito su Amazon, per chi vorrà acquistarlo. Di solito si parte dall’inizio quando si vuole descrivere un libro in promozione, ma io, bastian contrario di natura, ho pensato che fosse più utile per voi che mi seguite su questo blog, iniziare dalla fine, dalle considerazioni finali con cui ne chiudevo la scrittura.

Usually, when a new book comes out, there is always a journalist who asks the author why he wrote it, what his motivations were. Well, since now as I am writing this post there is no journalist, I am asking myself: “Roberto, why did you want to create and publish” Other Places “?”

Well, don’t you imagine how complicated it is for me to answer this question. Yes, because whenever, reflecting on it, I tend to approach a possible answer, another question, very “Martullian” in style, pops up in my mind, which is: “do you photograph to remember or to be remembered”?

Namibia

Perchè fai fotografie?

Sono anni che mi barcameno in questo dubbio. Un dubbio che, sappiatelo, mi assale non solo nel momento in cui sto progettando lo scatto di un viso o di un panorama che si offre a me, in quel momento; ma anche quando sono in post produzione o a mesi, anni di distanza, quando mi ritrovo a rivedere le mie vecchie fotografie.

Perché ho scattato quell’immagine? Perché lo faccio io ma, in generale, perché lo facciamo un po’ tutti? La vulgata comune ci dice che fotografare ed imprimere su pellicola quell’immagine è un modo per darle l’immortalità: anche a distanza di tempo infatti, riguardandola, saremo in grado di ricreare nella nostra mente lo scenario che avevamo di fronte quando abbiamo deciso noi (o in generale l’autore dello scatto) di fotografare.

Vi torna questa motivazione come universalmente valida? A me no, o meglio, non in generale. Credo di aver scattato in vita mia quasi un milione (si un milione) di foto. Forse di queste la metà saranno da buttare. Ma la seconda metà è una “buona metà” fatta di immagini particolarmente riuscite sia da un punto di vista tecnico che emotivo, ovvero la fotografia ha saputo realizzare esattamente l’idea creativa ed emozionale che avevo avuto al momento dello scatto.

Sono fotografie con i più disparati soggetti: paesaggi, vicoli di paese, volti, animali, cieli stellati. Grazie alla fotografia io riesco, meglio di come farei con la mia sola memoria, a ricordare quel pezzo di vita catturato dall’immagine, li ricordo con gli occhi ma anche spesso nei sapori e negli odori. Ma poi, specie quando mi capita di rivedere quelli che ritengo gli scatti più riusciti, mi capita alle volte di pensare che essi possano diventare uno strumento attraverso il quale io stesso posso essere ricordato.

Non sono un megalomane

Non sono un megalomane, seguite il mio discorso.

Cos’è la fotografia? Siamo tutti d’accordo nel definirla un’arte. Ebbene quel prodotto artistico che io ogni volto cesello con la mia arte fotografica è destinato nel corso del tempo ad essere rivisto non solo da me ma anche da quei conoscenti o sconosciuti che, più o meno per caso, magari su Instagram o perché transitati sul mio sito web, avranno occasione di vederlo ed apprezzarlo.

Avrò suscitato in loro un’emozione? Se ci sono riuscito allora sì, il mio potrà definirsi un prodotto artistico e avrà raggiunto il suo scopo e, tornando all’incipit iniziale, la fotografia sarà servita non solo a ricordare ma anche affinché io stesso, in quanto artista che ‘ha prodotta, possa essere ricordato.

E allora?

E come me, ovviamente, lo stesso discorso si applica a chiunque veda in quest’arte quello strumento espressivo, il migliore per raccontare, a modo loro, il mondo esteriore per come lo vedono, e quello interiore per come lo sentono.

New York

Ecco, se proprio devo dirvela tutta, “Other Places” è un mio tentativo (anzi un tentativo corale visto che le foto esposte non sono solo mie), per trovare uno straccio di risposta decente all’interrogativo marzulliano di cui sopra “si fotografa per ricordare o per essere ricordati?”.

Dear Marzullo

Ebbene, caro Marzullo, ovunque tu sia, sappi che ad oggi non saprei come risponderti. O almeno non saprei risponderti con delle parole di senso compiuto, Ma, caro Marzullo, o in generale tu lettore che avrai voglia di sfogliare immagini e testi di questo libro, fidati che, una volta giunto alla fine forse avrai capito un po’ più di me, della persona che sono, delle motivazioni che mi muovono, di ciò che mi emoziona, di ciò che voglio ricordare e, forse, di ciò per cui amerei mi si ricordasse.