Guardati negli occhi
Chi sono, cosa voglio, dove sto andando? Quante volte abbiamo sentito queste domande, in tv o su internet, e quante volte magari le abbiamo rivolte a noi stessi. Non esiste persona al mondo che non sia passata attraverso queste forche caudine dell’esistenza, un battesimo della consapevolezza a cui si cerca di dare una motivazione o, se non altro, un obiettivo. Sono domande molto complicate a cui rispondere. Checché, infatti, Instagram pulluli di life coach, la verità è che non esistono manuali che ci insegnano “a campare”; ognuno di noi va a braccio, vive la vita per come viene e per come sente e, come dicono molti, alla fine il meglio a cui si può ambire, soprattutto nei rapporti personali, è quello di cercare di fare meno errori possibili. Ma proprio perché non esistono manuali che ci spiegano come si vive allo stesso modo non esiste un modo sbagliato di rispondere a queste domande. O meglio: un modo sbagliato ci sarebbe, ed è quello di far rispondere agli altri al posto nostro.
Da qui nascono tutti i disastri possibili.
Quando lasciamo decidere agli altri “chi siamo?”, perderemo la bussola della nostra vita. Proveremo a riempirla di certezze estetiche, economiche, sociali, quello che vi pare; arriva però poi il giorno in cui, guardandoci allo specchio, vedremo riflesso il volto di uno sconosciuto, riuscendo ad riconoscerci solo attraverso qualche ruga che, nel frattempo, la vita, avrà lasciato sul nostro viso, senza alcuna possibilità di poter riavvolgere il nastro e viverla di nuovo ma in un modo diverso. Quando lasciamo rispondere agli altri alla domanda “cosa voglio dalla vita?” ci stiamo auto condannando all’apatia. Il meccanismo è il seguente: si parte facendosi scegliere dagli altri gli obiettivi della propria vita, si inizia a perseguirli con sudore e fatica, come se fossero nostri e, il giorno in cui li raggiungiamo scatta quello che io chiamo il “momento delusione”, quando scopriamo che averli raggiunti non ci da alcuna gioia, alcun piacere. Li nasce il dubbio di essere depressi, proprio perché non si riesce a trarre piacere nemmeno dal raggiungimento degli obiettivi più insperati. Ma non è depressione, o non sempre. Semplicemente abbiamo raggiunto obiettivi che non erano nostri. Non li volevamo veramente, abbiamo lasciato che altri ci convincessero che era quello che volevamo, ma i nodi prima o poi vengono al pettine, e con loro arrivano anche le disillusioni. Quando lasciamo rispondere agli altri alla domanda “dove sto andando?”, stiamo automaticamente consegnando agli altri l’unica cosa che ci appartiene veramente, l’unica grande promessa che la vita è in grado davvero di dare “il futuro”. Mi spiego: il passato, per alcuni può essere bello, se abbiamo la fortuna di provenire da una famiglia felice, per altri, viceversa, può essere una merda. In entrambi i casi non ci appartiene più ed infatti non riusciamo a cambiarlo. Il presente è troppo veloce, e scivola via, non dandoci il tempo di capire, di organizzare. L’unica grande promessa è il futuro
Il futuro
Il futuro è un tempo bellissimo. Pensateci bene: anche chi ha avuto sin qui la peggiore delle esistenze ha però il diritto di immaginare un futuro luminoso e di perseguirlo. Magari poi non ci riuscirà ma la possibilità non gli manca, e questa è una gran cosa. Ecco però che, quando lasciamo rispondere agli altri alla terza ed ultima domanda “dove sto andando?”, stiamo quindi cedendo loro quanto di più prezioso abbiamo per noi, il nostro futuro, la possibilità di scrivere non sulla sabbia o so una letterina per Babbo Natale, ma nella vita reale, quella che accade per davvero, i nostri sogni, i nostri progetti, le nostre più intime ispirazioni. E questo sì che è un peccato… Ora la domanda è: perché lasciamo scegliere ad altri? Beh ci possono essere motivazioni diverse da persona a persona. Di solito però lo strato di base che sottintende a queste situazioni è l’insicurezza. Si è insicuri e si lascia scegliere agli altri. Una insicurezza che può essere innata, caratteriale, oppure dovuta a bachi formativi della nostra infanzia che non ci hanno resi abbastanza strutturati da essere capaci di rispondere con estrema libertà a queste domande.
Non è quindi una colpa, per carità. Ma non per questo deve essere un alibi.
Ognuno di noi ha infatti la forza e la sapienza giuste per poter rispondere da solo a queste tre domande base. Ma lo può fare a condizione che ascolti il suo cuore. Lo dico a costo di sembrare melenso, ma è così, e se non vi piace la parola cuore potete sostituirla con anima, se, io, interno, coscienza. Quella che volete. Il risultato non cambia.
Mettete a tacere per un attimo tutto ciò che vi circonda. Dalle persone più care agli amici, i social. Tutto, anche gli psicologi. Mettete a tacere tutto e concentratevi sulla risposta che vi arriva da dentro. Non abbiate paura di accettarla e seguirla, anche quando vi sembra proporvi cose irragionevoli. Quella che arriva da dentro una risposta che ha una voce sottile, e per questo spesso non la sentite, sovrastata come è dai tanti che urlano cercando di spiegarci come vivere. Ma se farete lo sforzo di mantenere questo silenzio percepirete anche voi, anche se siete i più insicuri al mondo, un messaggio che vi arriva da dentro e che dice, a voi stessi, chi davvero siete, cosa volete, e dove volete andare nella vita.
Segui il tuo cuore
Un vecchio libro di Susanna Tamaro diceva “va dove ti porta il tuo cuore”. Per anni mi è sembrata una frase a effetto messa li per vendere più libri. Oggi invece l’ho rivalutata. E sapete perché? Perché vedo intorno a me troppe vite appassire perché non hanno il coraggio di rispondere autonomamente alle tre domande di questo post, perché non seguono il cuore, il loro istinto. E vivono male, vivono malissimo, i conti, per loro, non tornano mai. A loro vorrei dire, metti pure in conto l’ipotesi di sbagliare nella vita, ma sbaglia da sola/o. C’è crescita anche negli errori. C’è una frase molto bella di un libro del compianto Giorgio Faletti che dice: “Forse l'errore stava tutto lì. Era l'errore che tutti gli uomini fanno da sempre. Cercare di mostrarsi forti e sprezzanti e vincitori quando forse basta avere il coraggio di chinare la testa e dire: ho paura.”
E forse il discorso, che ho cercato di imbastire sin qui, si riduce tutto al tema della paura. Magari si lascia che siano gli altri a rispondere per noi perché abbiamo paura. E allora perché non provare ad accettare questa paura come compagna di vita, una compagna che magari oggi c’è e domani non ci sarà più, chi lo sa. Accettiamo le scelte sbagliate, o meglio, le “nostre” scelte sbagliate, non quelle che altri hanno fatto per noi: appena lo faremo ci accorgeremo che altro non sono che un gradino in più che abbiamo salito verso la soddisfazione personale. Non sono state tempo perso, se la avremo fatte noi, e non altri per noi. Cerchiamo di non aver paura di creare il silenzio intorno a noi. Non è un silenzio che prelude a cose spaventose, ma è semplicemente un silenzio necessario ad ascoltarci, a sentire l’unica “”verità vera, ovvero quella che ognuno di noi ha dentro di se sin da quando è nato. Affidiamoci al nostro istinto con la stessa leggerezza che avevamo da bambini, quando, scevri dalle mille sovrastrutture dell’età adulta, non avevamo alcuna difficoltà ad essere liberi. Ci veniva naturale. Abbracciavamo senza remore, ridevamo e piangevamo senza portare il conto di sorrisi e lacrime, senza paura di essere giudicati dagli altri per questo: correvamo senza il timore di ritrovarci sudati. Piccoli ma fottutamente liberi.
Come fanno i bambini
E quando saremo riusciti in questo, quando avremo fatto il silenzio attorno a noi, quando avremo preso coraggio e incoscienza, quella del bambino di cui sopra, in quel momento smettiamola di aver paura di sbagliare, perché, credetemi, l’unica alternativa al provarci con le proprie idee, nella vita, è sbagliare al 100%.
“La rovina non sta nell'errore che commetti, ma nella scusa con cui cerchi di nasconderlo.” (M. Gramellini)