Può un’immagine essera “silenziosa”?
Non prendetemi per matto, lo so che “per definizione” tutte le immagini nascono e rimangono mute; d’altronde è proprio l’assenza di suono (e di movimento) a distinguere la fotografia da altre tecniche di ripresa come il video shooting o il cinema.
Ma in questo caso, quando parlo di silenziosità di un’immagine, non mi riferisco all’aspetto sensoriale del contenuto visivo quanto a quello emozionale.
E’ un concetto che ho elaborato ultimamente, riguardando gli scatti realizzati nel corso dell’ultimo anno, quando a causa della pandemia da Covid 19, anche io come molti fotografi mi sono ritrovato sempre più spesso a riprendere panorami ed angoli urbani solitamente affollati, oggi avvolti da un’insolita aurea di silenzio e di vuoto.
Ed è strano perchè in tutti questi anni non avevo mai fatto caso alla dimensione sonora di un’immagine. Pensateci: se guardate lo scatto di una via affollata di New York involontariamente nella vostra mente inizierete a sentire i clacson dei taxi gialli in fila per il traffico e le sirene dei mezzi di emergenza.
Allo stesso tempo se invece guardate uno scatto che riprende una strada vuota la foto, se fatta bene, dovrebbe essere in grado di rappresentare nella nostra mente questo silenzio così “rumoroso”.
Quella del “silenzio visivo” (che poi evoca quello uditivo) è una delle caratteristiche dei nostri scatti ai tempi del Covid, un aspetto in più che noi fotografi dobbiamo imparare a considerare quando, dietro l’obiettivo delle nostre reflex, siamo impegnati a progettare il prossimo shoot.
E’ un silenzio che può diventare fonte di ispirazione o in alcuni casi può addirittura spaventare.
Personalmente mi è capitato in questi mesi di ritrovare questo assordante silenzio nelle mie foto scattate in giro per quelle città che, per lavoro o per vacanza, mi sono ritrovato a visitare.
Riguardo gli scatti di una notte in una Roma deserta, e forse anche per questioni personali, chiarissimo nella mia mente si staglia il ricordo di quella desolazione, quel vuoto, quell’assenza che il lockdown ha portato in strade e vicoli solitamente brulicanti di turisti h24. E vi assicuro che, da romano, ho avvertito forte quel turbamento mentre fotografavo, ed ancora di più in seguito quando ho rivisto le immagini.
Pensavo infine che queste stesse immagini (unitamente a tutto il materiale video e giornalistico prodotto) serviranno a raccontare, tra un po’ di anni, quello che è stato il mondo nella prima pandemia globale della sua storia.
Una responsabilità in più per chi, come me, vede nella fotografia un’arte prima ancora che un hobby o un mestiere, ma anche una spinta ad andare oltre i nostri soliti schemi, non avendo paura di mettere nelle immagini che realizziamo non solo la nostra tecnica ma anche la nostra anima più emotiva.