Avete sentito mai parlare dell’effetto Zeigarniker? Sono sicuro che alla stragrande maggioranza di voi questo termine non dice nulla eppure è un qualcosa che tutti noi sperimentiamo quotidianamente. L’effetto Zeigarniker altro non è che quella sorta di inquietudine mista all’ansia che proviamo di fronte alle cose inconcluse.

Guardiamo un film e se un “interrupt” ci distoglie e ci impedisce di vederne il finale? Andiamo in paranoia. Una persona al telefono ci sta raccontando qualcosa di interessante e ad un certo punto cade la linea? Bestemmioni contro il nostro operatore telefonico e poi su a ritelefonare a manella fino a quando non riusciamo a riprendere la linea. E come questo potrei fare tanti altri esempi.

Attenzione però a non sottovalutare la portata dell’effetto Zeigarniker. È chiaro, gli esempi che vi ho fornito sin qui fanno riferimento a “inconclusi” che per quanto possano essere fastidiosi non “dovrebbero” stravolgere la vita di nessuno. Ma ci sono inconclusi in grado di farlo. Sono i progetti non portati a termine, quelli personali, quanto quelli lavorativi. Di fronte a questi cantieri della vita che non vengono mai chiusi ci sentiamo frustrati o addirittura in colpa perché, nell’ansia di dover per forza arrivare sempre alla fine di tutto, non accettiamo l’inconcluso ed abbiamo bisogno di affibbiarne la responsabilità a qualcuno. E chi sono i primi capri espiatori? Noi stessi.


E così viviamo vite in cui gli inconclusi finiscono, col tempo, per diventare i più grandi rimpianti di una intera esistenza. E ci fanno soffrire. “Ah se solo avessi…. “. Frasi come queste balzano di frequente nei nostri pensieri e ognuno di noi, ognuno di voi, può sentirsi libero di concluderla nei tanti finali (non realizzati) che la vita gli ha dato. Si dice, parlando di effetto Zeigarniker, che nel nostro cervello le situazioni inconcluse (che, attenzione, non coincidono per forza con le irrisolte) creano forme di “ambiguità cognitiva”, il peggior fumo negli occhi per una mente, quella umana, che invece ha bisogno di catalogare e mettere in ordine le cose. Ma non sempre è quello che ci accade, e quando i fatti, gli incontri, i dialoghi, gli eventi, le relazioni (etc etc) non si chiudono in maniera definita e definitiva soffriamo, alle volte senza nemmeno accorgercene perché magari non sono inconclusi non così importanti della nostra vita, ma il non averli visti chiudere lascia in noi quel filo di ansia di cui faremmo volentieri a meno.

Per altri invece non si tratta di fili d’ansia ma di veri e propri fardelli con cui poi non è sempre semplice fare i conti. Tutti vorremmo vivere in un mondo ideale dove l’effetto Zeigarniker non esiste, dove ciò che inizia trova la sua fine naturale senza lasciare ambiguità. Ma non è così. Ed un primo modo per attutire l’ansia o peggio ancora la sofferenza che può provenirci dall’effetto Zeigarniker è proprio quello di capire che la vita non è esattamente un susseguirsi di fasi perfette, che si aprono come si chiudono. Gli stessi rapporti umani sono tutt’altro che perfetti da questo punto di vista perché quasi mai due persone, al di là di quella che è la natura del loro rapporto, si dicono tutto veramente.


Ci sarà sempre qualcosa negli altri che non riusciremo a decifrare, anche in chi condivide la vita con noi giorno dopo giorno. Ci saranno frasi e atteggiamenti iniziati che non verranno conclusi, finali che non vedranno mai la luce… Ma va bene anche così! La nostra vita non è la sceneggiatura di un film dove trama e sequenza scenica devono convergere sempre ad un finale ben definito. La vita è ricca di ambiguità come le foglie degli alberi di un bosco sono impregnate di umidità. Ma non per questo perdono fascino e valore, la vita come le foglie. È semplicemente così, e così è sempre stato sin dai tempi di Neanderthal. Dobbiamo solo sforzarci di riconoscere il valore di ogni secondo vissuto, apprezzandone anche le imperfezioni come apprezziamo le curve del nostro viso guardandoci allo specchio (o almeno dovremmo farlo). E impariamo ad accettare, grande mantra di vita, ciò che non si è concluso, o non si è concluso come avremmo voluto. Perché, come si dice in questi casi, se doveva essere, lo sarebbe stato.