Sarà per colpa di Benedetto Croce con il suo “un uomo è quel che fa” (che a dire il vero forse abbiamo frainteso), fatto sta che un tratto tipico dell’uomo moderno è il suo oscillare tra l’agire e il reagire. In pratica le nostre giornate, in generale le nostre vite, si alternano tra azioni che iniziano qualcosa e reazioni che invece sono il naturale prosieguo, magari come conseguenza, di quello che abbiamo fatto ieri. Questa iperattività l’abbiamo trasferita a tutto. Abbiamo un problema? Bene, dobbiamo subito agire o quanto meno reagire. E guai a stare fermi. Il che, per carità, non è di per se qualcosa di negativo ma non è nemmeno qualcosa di sempre risolutivo. La vita infatti ci dimostra che in alcune situazioni, di fronte ad alcuni problemi, alcuni irrisolti, di fronte a quello che non capiamo e ci rende frustrati per questo, di fronte a tutto ciò l’unica cosa giusta da fare, è non fare nulla. Strano ma vero. Fidatevi. Questo mi fa tornare alla mente uno dei racconti più conosciuti sul Buddah, secondo il quale un giorno il Maestro chiese ripetutamente a un suo discepolo di prendergli dell’acqua da un lago; quest’ultimo tuttavia non faceva altro che tornare ogni volta dal Maestro dicendogli che non aveva potuto prendergli l’acqua perché era ancora troppo torbida in quanto il lago, poco minuti prima, era stato attraversato da un carro di buoi. Dopo diversi viaggi avanti e dietro però, il discepolo riuscì a trovare il lago in condizioni di calma piatta, quelle ideali per attingere acqua pulita, e quando la portò al Maestro questi gli chiese: “cosa hai fatto per pulirla?”. A questa domanda rispondo io per lui; non fece nulla. È una parabola bellissima, perfetta per spiegare come, spesso, di fronte ai problemi più intricati ci affanniamo a trovare soluzioni con approcci a forza bruta che, erroneamente, riteniamo ci porteranno prima o poi a una risoluzione. Ma non è sempre così. Ripeto, non sto qui a celebrare il lassismo che non è certo un tratto del mio carattere, ma è vero che alle volte il fermarsi, l’aspettare, il darsi tempo, per alcuni problemi, è l’unica soluzione. E questo secondo me accade anche per un altro motivo per il quale possiamo sfruttare ancora una volta la parabola del Buddah ovvero; cosa succede se ci troviamo in lago melmoso e rimaniamo fermi? Accade che, miracolosamente, dopo qualche minuto rivediamo i nostri piedi. Ecco la stessa cosa accade con i problemi più intricati: se respiriamo, se ci fermiamo, se accettiamo di essere spettatori e non per forza attori protagonisti e lasciamo fare al tempo, quando le acque si placano, riusciamo a vedere a fondo, e riusciamo così anche a comprendere davvero i problemi, la loro natura, i loro intrecci. E forse la risolutività dell’aspettare nasce anche da questo, ovvero dalla possibilità che, in quel modo ci diamo, di capirli meglio questi problemi. Ma c’è di più. C’è che ci sono delle situazioni, problematiche, che magari ci riguardano da vicino, da vicinissimo direi, in cui noi comunque non possiamo fare un bel nulla per risolverle. Lo so è frustrante, e non avete idea di quanto in prima persona l’abbia vissuto sulla mia stessa pelle. Ma è tremendamente vero. Alle volte l’unica prospettiva “di sopravvivenza” di alcune nostre speranze dobbiamo riporle sul tempo, sulla sua capacità di curare certe ferite, di farci comprendere certi irrisolti, di saldare alcuni conti, di fare in pratica tutto quello che serve per chiudere un capitolo magari doloroso della nostra vita, e passare al prossimo.
Miguel de Cervantes diceva: “Confida nel tempo, che è solito offrire dolci soluzioni a molte amare difficoltà.” Diavolo quanto è vero, e quanto è stato duro accettarlo questo principio di vita. Sì perché per lasciar fare al tempo è necessario prima ammettere di non essere onnipotenti. Per lasciar fare al tempo serve l’umiltà di capire che la nostra vita non è poi tutta mossa dai nostri fili come spesso ce la raccontiamo. C’è anche dell’altro che concorre alla sceneggiatura dei nostri vissuti signori miei. E poi… Per lasciar fare al tempo, e questa forse è la parte più difficile, dovete amare davvero tanto chi/ciò per cui state lottando. Alle volte il tempo non fa in tempo (scusate il gioco di parole) a risolvere certi problemi perché magari noi per primi ci siamo arresi, abbiamo mollato la presa, non abbiamo voluto o saputo aspettare. Servono profonde convinzioni e amore sconfinato, e vi assicuro che il tempo alla fine è il migliore dei galantuomini e sa premiare la perseveranza di chi ama e la saggezza di chi aspetta.