Quando ho piantato il mio dolore nel campo della pazienza, mi ha dato il frutto della felicità.
(Khalil Gibran)

Rose o tulipani?

Se vi dico la parola “amore” qual è il primo fiore che vi viene in mente? Credo di poter dire che almeno il 99% di voi risponderà “la rosa”. Eppure, fidatevi, c’è un altro fiore che, molto meglio della rosa, simboleggia quello che davvero l’amore è, in tutte le sue sfaccettature, ed è il tulipano. Un fiore bellissimo, elegante, che noi conosciamo bene e di cui l’Olanda è il primo esportatore mondiale. Eppure non è nel clima freddo dei Paesi Bassi che è nato questo fiore, ma nella più calda Persia. Ed è qui che nasce anche la leggenda dei tulipani e del loro simbolismo in campo amoroso. È la leggenda di due giovani innamorati, Shirin e Ferhad. Shirin, ad un certo punto della sua vita, decide di andare via, a cercare fortuna lontano da casa, nella speranza di trovare quelle ricchezze che potessero garantire a lui e a Ferhad, una vita migliore. Parte ma, passano i giorni, i mesi, gli anni e Shirin non torna. Ferhad rimane in sua attesa, fedele alla promessa d’amore del suo fidanzato fino a quando, esausta, decide di mettersi in marcia anche lei, nella speranza di ritrovarlo e riportarlo a casa.

Un viaggio

Ma il suo non sarà un viaggio di piacere. Ferhad infatti si perderà nel deserto dove, a un certo punto, cadrà stremata di stenti. Ed in questo momento, ovvero quando le lacrime dei suoi occhi mischiate al sangue delle sue ferite raggiungeranno il terreno arido del deserto, in quel momento dalla sabbia spunterà un nuovo fiore, il tulipano. Ferhad morirà, ma la sua fede nell’amore eterno tornerà ad essere ricordata ogni anno quando, nel deserto della Persia, i tulipani torneranno a sbocciare. Nasce così il simbolismo amoroso dei tulipani. Un simbolismo che tutt’oggi esercita in me un forte fascino. Non solo (ma questo è un aspetto secondario) perché ho sempre amato questi fiori, ma perché mi colpisce molto il contenuto di verità della leggenda prima narrata che lega i tulipani all’amore. Sono convinto infatti che l’amore, per caratterizzarsi come tale, debba nutrirsi proprio della perseveranza della bella Ferhad che è pronta a mettere a repentaglio la propria vita per andare a ritrovare il suo amato. Mi viene in mente a tal proposito la parabola del “Buon Pastore” del Vangelo, dove l’allevatore è pronto a lasciare le sue 99 pecore per andare a recuperare la centesima che si è persa. Che cos’è l’amore se non proprio questo? Mi spiego. È chiaro che quando le cose vanno bene è semplice amarsi. Io amo te, tu ami me, ci piacciamo, è facile amarsi, evviva l’amore! Ma è davvero questo l’amore? Io credo di no. Io credo che l’amore, quello vero, si manifesti nel momento stesso in cui, all’interno di una relazione, si fa quel primo passo in più che però ci richiede fatica, tanta fatica. Non fisica, ben inteso, ma mentale, psicologica. È lì che si manifesta il vero amore. Nella fatica che siamo disposti a sopportare per andare incontro alla persona amata, per recuperarla, per accettare i suoi difetti, i suoi limiti, i suoi tradimenti, alle volte anche la sua violenza (non quella fisica, chiariamoci). È solo lì che, manuale alla mano, si può parlare di amore, vero amore.

I miei tulipani

Ecco perché, credo, non esistono amori semplici. Diceva un vecchio saggio che “soli nasciamo e soli moriamo” e proprio per questo è così difficile farsi compagnia lungo il cammino della vita. Si fa fatica, tantissima alle volte. Non tutti però hanno la pazienza, la forza, e il coraggio di spendere le lacrime e il sangue che alla volta ci viene richiesto per arrivare all’amore a cui ambiamo, ai nostri tulipani. Peccato! Ed io? Beh io, per quello che mi riguarda, ho deciso, e non ora, che sì, anche io voglio “i miei tulipani”. E non ci sarà deserto in grado di sedare questo mio proposito. Ci vorrà fatica, ci vorrà forse del tempo, ma torneranno a fiorire anche per me.